LETTERE A THEO DI VINCENT VAN GOGH • LEGGER D'ARTE

Noi possiamo far parlare solo i nostri quadri. ”


Vincent van Gogh, oltre alle sue tele, ha lasciato un considerevole numero di lettere scritte tra l’agosto 1872 e il 27 luglio 1890, giorno in cui si sparò un colpo di pistola al petto.

In totale il suo epistolario comprende 821 lettere, 668 delle quali indirizzate al fratello Theo che testimoniano il forte legame che li univa. La maggior parte delle lettere (466) fu redatta in olandese, il resto in francese (200) e solo due in inglese.

Le lettere dell’artista furono pubblicate per la prima volta nel 1913 in tre volumi in un’edizione curata da Johanna van Gogh-Bonger, la moglie di Theo [cfr. La vedova Van Gogh di Camilo Sánchez].

Il periodo più prolifico della produzione pittorica di Van Gogh, ovvero gli ultimi dieci anni della sua vita, coincide con il periodo in cui scrisse più lettere, anche più di una al giorno. È possibile pensare che, quando non poteva permettersi di comprare il materiale per dipingere, ricorresse a carta e penna per sfogare il suo bisogno creativo.

Ho ancora gli occhi stanchi, ma intanto avevo una nuova idea nel cervello. Questa volta è la mia stanza da letto, solo che il colore deve fare tutto, dando attraverso la sua semplificazione uno stile più grande alla cose, e deve suggerire il riposo o in genere il sonno. Insomma la vista del quadro deve riposare la testa, o meglio l’immaginazione. I muri sono lilla pallido. Il pavimento è a mattoni qadrati rossi. Il legno del letto e le sedie sono giallo burro chiaro, il lenzuolo e i cuscini verde limone molto chiaro. La coperta rosso scarlatta. La finestra verde. La tavola di toilette arancione, il bacile blu. Le porte sono lilla. E non c’è altro – nient’altro in questa stanza con le persiane chiuse. ”

Le lettere di Van Gogh permettono di ricostruire quasi totalmente la sua vicenda umana e artistica, in quanto egli affidò alla parola scritta tutto ciò che riguardava la sua vita, la sua arte e la sua malattia.

Dal periodo trascorso con i minatori di carbone del Borinage a quello in cui si trasferì ad Arles per realizzare il suo progetto di una comune di artisti nella Casa Gialla [cfr. Vincent di Barbara Stok], emerge un Van Gogh profondamente empatico e sensibile verso la condizione degli altri essere umani, che cercò di entrare in comunicazione con chi aveva intorno e di aiutare come poteva la povera gente condividendo quel poco che aveva e che riceveva periodicamente dal fratello, che provvide alla sua sopravvivenza materiale fino alla fine.

Il suo giudizio nei confronti delle sue opere fu sempre molto critico e oggettivo, anche durante la malattia. Giunto all’arte in tarda età, Vincent si dedicò all’esercizio costante e allo studio delle opere degli altri artisti per apprenderne le tecniche e rielaborarle nei suoi lavori in modo personale. Pennelli, colori e tele furono per Van Gogh fonte di gioia, riscatto verso la sua famiglia che non ne approvava le scelte e connessione con la natura, ma anche di turbamento, angoscia e tormento perché il suo genio dovette fare i conti con le ristrettezze economiche, la malattia e i pregiudizi della gente.

Ho cercato di sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada ha zappato la terra con le stesse mani che ora protende nel piatto, e quindi parlo di lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo. Personalmente sono convinto che i risultati migliori si ottengano dipingendoli in tutta la loro rozzezza piuttosto che dando loro un aspetto convenzionalmente aggraziato. Penso che, più che da signora, una contadinella sia bella vestita com’è con la sua gonna e camicetta polverosa e rappezzata, azzurra, di cui il maltempo, il vento e il sole danno i più delicati toni di colore. Se si veste da signora, perde il suo fascino particolare. Un contadino è più vero con i suoi abiti di fustagno tra i campi, che quando va a Messa con una sorta di abito da società. ”

Theo fu il primo a riconoscere il valore dell’arte di Vincent. Egli lavorava in una famosa galleria parigina e, pur avendone la possibilità, non espose mai i quadri del fratello, che preferiva appendere alle pareti della sua casa. Non è chiaro il motivo per cui Theo prese questa decisione: forse pensava di salvaguardare il fratello dagli eventuali giudizi negativi dei critici d’arte per non pregiudicarne le creazioni future e non peggiorare la sua salute mentale. Lo stesso Vincent, nella sua ultima lettera che non fece in tempo a spedire e che gli fu ritrovata in tasca, gli chiese:

Siamo infatti a questo punto ed è la cosa migliore che posso dirti in un momento di relativa crisi. In un momento in cui i rapporti tra negozianti di quadri di artisti morti e di artisti viventi, sono molto tesi. Ebbene: per il mio lavoro rischio ogni giorno la vita, e vi ho perduto metà della mia ragione – va bene – ma tu non sei tra i mercanti d’uomini per quanto sappia io, e puoi assumere una tua posizione, agendo realmente con umanità. Ma che cosa vuoi tu infine? ”

Il volume pubblicato da Guanda offre una selezione di 97 lettere scelte tra quelle indirizzate a Theo van Gogh. Essendo lettere non destinate alla lettura da parte di un pubblico ma rivolte esclusivamente al proprio destinatario, possono risultare noiose e ripetitive ma rappresentano il mezzo più diretto, efficace e sincero per conoscere l’uomo dietro al suo mito.

____________________

Lettere a Theo di Vincent Van Gogh
Guanda - 16 Maggio 2013 - 414 pagine - € 13,00

Il post è stato scritto facendo riferimento ai miei studi, con il supporto di manuali e appunti di lezioni di storia dell'arte.

Commenti